mercoledì 12 dicembre 2012

Il fascino del delitto perfetto

Per me è irresistibile. Quando un giallo si intreccia al punto da chiudere il protagonista nella sua stessa rete, o quando la fine si avvicina inesorabilmente senza soluzione, quando l'assassino che stiamo seguendo da tutto il film infine si salva e torna alla vita, non è forse una delle emozioni più grandi che lo schermo può farci provare?
Per me è così. Il delitto perfetto è uno di quegli eventi che mi affascina sempre, in ogni suo aspetto, e per questo ho voluto dedicargli un mio articolo.

Innanzitutto vorrei specificare cosa intendo con l'evento "delitto perfetto". Non esiste un genere filmico che comprende questo evento come suo filo rosso rappresentativo o come corpus della propria struttura, esistono noir, thriller, gialli e horror, ma non esiste il genere del delitto perfetto. Questo perchè questo evento può essere adeguatamente trattato in ogni genere tradizionale, persino la commedia.
Io mi permetto qui di mettere a confronto vari film che ho visto e nei quali ho riconosciuto la centralità dell'evento "delitto perfetto". In base a cosa?

In tutti questi film c'è una situazione iniziale di apparente calma e normalità (ma questa è una caratteristica della maggior parte dei film in generale). Poi avviene il fatto scatenante di tutti gli avvenimenti seguenti: l'omicidio. Un fatto scatenante parecchio d'effetto, direi.
Ma siamo ancora in un tracciato molto neutro, cosa rende questi film accomunabili e quindi diversi dai comuni horror, thriller, noir ecc? I questi film noi seguiamo l'assassino.
Normalmente l'eroe è un personaggio buono, e nei film in cui la trama ruota attorno a fatti criminosi noi seguiamo il detective, la vittima scampata all'assassino, il parente, l'amante del morto, ma mai l'assassino. Questo crea il bivio tra i due tipi di film di cui stiamo parlando. Se seguiamo il protagonista buono egli è sempre alla scoperta della verità, se seguiamo l'assassino sappiamo già la verità. In un film ogni scena sarà una scoperta, nell'altro sarà un inganno, una farsa, una copertura.
Questo rende simili questi film, e li rende così intriganti.
Basta questo a rendere il film un film sul delitto perfetto, in un certo senso. E vi spiego perchè. Se un film ruota intorno alla figura dell'assassino, a ciò che lui sa (e che quindi sappiamo anche noi) e a come fa a scappare dalle mille insidie che lo attorniano, il film difficilmente renderà facile la vita del detective facendogli trovare valanghe di indizi e portando alla cattura del criminale a 17 minuti dai titoli di testa. Sarebbe alquanto deludente.
Quindi, per poter gestire un film da questo punto di vista, lo sceneggiatore deve rendere questa trama ricca di eventi a favore dell'assassino, come scappa, come nasconde le prove, come frega la polizia, la sua doppia faccia buona/cattiva, costruire bene i suoi moventi, ecc ecc. Ma al contempo questo assassino non la può passare troppo liscia, non capita mai che l'assassino, quello vero, se la riesca a svignare dopo appena un'interrogatorio, o neanche! (nei film dico, nella vita reale se ne potrebbe discutere). Se nel film che state vedendo l'assassino si libera di ogni preoccupazione e torna a vivere una vita serena dopo poche scene non state guardando un film sul delitto perfetto, bensì una commedia con un protagonista discutibile oppure la biografia del criminale. Insomma, state vedendo un contesto più ampio, non si sta più solo parlando de singolo delitto perfettamente architettato, o perfettamente coperto.

Perciò il film vi terrà sul filo del rasoio per quasi 2 ore ingannandovi sulla conclusione degli eventi. Vincerà il bene? La farà franca l'assassino? O magari vedremo un duello a fuoco incrociato in cui nessuna delle due parti sopravviverà?
Poco importa, comunque finisca il film voi avete comunque assistito per due ore all'infinito balletto del  Bene e del Male, che con varie maschere si sono avvicinati e distanziati, sfiorati, incrociati e poi ignorati, senza mai smettere un attimo, con una serie di strategie per tenere alta la vostra attenzione e tensione.

Il primo film da citare è (ovviamente) "Delitto perfetto" del maestro dell'horror Alfred Hitchcock (1954). E' questo film che mi ha suggerito questo articolo e questa riflessione, e non a caso è penso il primo film che affronta questo tema in maniera magistrale. Un uomo architetta l'omicidio della giovane moglie per un doppio movente: lei lo tradisce con uno scrittore di romanzi gialli (che finezza) ed è inoltre una ricca possidente. Per mettere in atto il diabolico piano il protagonista ricatta un vecchio compagno del college che è divenuto un criminale, obbligandolo a prender parte al piano genialmente orchestrato. Ma qualcosa va storto (questo elemento tornerà nella maggior parte dei film di cui parleremo). La moglie colta di sorpresa dal sicario si ribella disperata fino a colpirlo mortalmente con un paio di forbici da cucito. Da qui si inerpica una elaboratissima edera di dettagli, indizi, sospetti che rendono questo film un capolavoro indiscusso di Hitchcock e sicuramente il miglior film sul delitto perfetto mai realizzato.

Passiamo a Elio Petri, "Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto" (1970). Il capo della Sezione Omicidi di Roma uccide la propria amante, anche qui per un doppio movente: scopre che lei lo sta tradendo con uno più giovane e, soprattutto, vuole sfidare la legge, dimostrando come si possa commettere un omicidio e restare impuniti se collocati nei posti giusti. In questo momento infatti il nostro protagonista è appena stato promosso d'ufficio, è un personaggio in vista. Questo film è stato un po' visto come una previsione della corruzione che sarebbe seguita nella politica italiana. Il punto forte del film è proprio questo: un personaggio famoso e autorevole, per di più uno che lavora per la giustizia, l'ex capo della Sezione Omicidi, compie un omicidio. E si premura in tutti i modi di essere scoperto, spinto dal desiderio di arrischiarsi sempre di più in questa partita pericolosissima per vedere fin dove può spingersi. Qualcuno arriverà mai a denunciarlo?

Ecco un'altro esempio molto particolare e che vi consiglio caldamente: "Una cena quasi perfetta" di Stacy Title (1996).Questa volta il delitto perfetto compare in una commedia, un film dai toni ironici e grotteschi che ci spinge in una profonda riflessione poco a poco: chi siamo noi uomini per decidere chi vive e chi muore? Se possiamo scegliere chi eliminare riusciamo poi a farlo? Il film parla di cinque studenti convintamente di sinistra che vivono insieme discutendo di filosofia e politica, finchè una sera non si ritrovano con un nazista a tavola che finiscono con l'uccidere. Non volontariamente, in realtà, ma quel primo atto li pone di fronte alla loro reale possibilità di ripulire il mondo da coloro che ritengono feccia. Cominceranno così ad invitare sempre più persone a cena, per discutere con loro di religione, sesso, cultura...e per continuare a riempire il giardino di cadaveri.

"Piccoli omicidi tra amici" di Danny Boyle (1994), un film in cui ho lasciato il cuore. Mi ero appassionata a Boyle e ho cominciato a vedere tutti i suoi film, cominciando da questo che è uno dei primi. A parte la sua impronta che è ben visibile nell'arco del film, con questi contesti di ascesa e discesa, riprese vertiginose e scattanti e una colonna sonora davvero inusuale, la trama è veramente spettacolare. Tre amici (tra cui un giovanissimo Ewan Mc Gregor che ritroveremo in Boyle) vivono in una bella casa ampia e decidono di affittarne una parte per ricavarne un po' di soldi. Così cominciano a ricevere possibili affittuari, selezionandoli come a un talent show, finchè non decidono di dare la stanza a un certo Hugo, uno scrittore. Appena due giorni dopo scoprono Hugo morto nella sua stanza e una valigia piena di banconote sotto il suo letto. Tra i tre legatissimi protagonisti si innesca un meccanismo deviato che li porta alle più impensate reazioni. L'occultamento del cadavere e la grossa somma di denaro acquisita trascinerà il trio in un vortice discendente che li condurrà ognuno verso il suo opposto e ritorno, rivelando profonde paure e  tensioni. Veramente un film stupendo.

Arriviamo al 1998 con un film liberamente ispirato al "Delitto perfetto" di Hitchcock, diretto da Andrew Davis. "The perfect murder" coinvolge in un triangolo tre big del cinema americano, Michael Douglas nel ruolo del marito che architetta il piano, Gwyneth Paltrow nel ruolo della giovane moglie e Viggo Mortensen nel ruolo dell'amante. Questa volta è lui stesso a essere interpellato, e ricattato, per compiere l'omicidio. Questo film, pur presentandosi come un remake del grandissimo classico hitchcockiano, non è scontato, e aggiunge alcune interessanti e sorprendenti varianti. Io li vidi uno dietro all'altro, se vi capita fatelo e giocate a "trova le differenze". Il film di Hitchcock resta comunque il migliore.

Anno 2002. Inizialmente volevo parlare solo di "Formula per un delitto", ma mi è appena sovvenuto un altro film che ho visto da poco e lo aggiungerò. Il film di Barbet Schroeder mi ha fatto nascere la passione per questo tema, l'ho visto prima di Hitchcock e prima di tutti gli altri film citati in questo articolo, e fu in quel film che vidi per la prima volta due attori che adesso seguo abbastanza. Uno è Michael Pitt (recentemente in "Funny Games", remake shot to shot di Haneke) e l'altro è Ryan Gosling (con la singolare interpretazione in "Drive"). I due interpretano due studenti molto diversi, scolasticamente, caratterialmente, socialmente, ma uniti da un'idea comune: è possibile uccidere qualcuno e passarla liscia? La curiosità scientifica di Justin e il desiderio di andare oltre di Richard li portano in un'odissea psicofisica nel progettare, attuare e disperdere le prove del loro futile delitto, inseguiti ferocemente da una Sandra Bullock detective. Anche qui non c'è nulla di scontato, nulla di prevedibile.

L'altro film che ho appena ricordato è "Chicago" di Rob Marshall, sempre 2002. Mi torna anche bene parlarne perchè questo film è un musical. Un genere che assolutamente non comprende l'omicidio, se non in forma strettamente scenica, mette in piedi uno straordinario spettacolo di violenza, corruzione e criminalità, in cui due belle donne (Catherine Zeta-Jones e Renée Zellweger) riescono a sfondare nel mondo del cabaret proprio grazie alle loro gesta omicide. Incredibile ma vero, in questa Chicago malfamata tutto è possibile, se hai le carte giuste nessuno ti può toccare, e il tutto a ritmo di jazz.

Ultimo film che vi cito in questo articolo (per ora, finchè non potrò aggiornarlo con nuove visioni): "Match Point" di Woody Allen (2005). Altro spettacolare film, che resta nel cuore e nell'anima, io credo, per lo stupendo intreccio, ricco di sfumature, e l'accordo con la musica lirica che connette profondamente la scena che vediamo col nostro io. Che dire? Sembra una modesta storiella di gentiluomini borghesi che si intrallazzano serenamente, senza alcuna complicazione se non decidere dove andare a cena, o in vacanza in barca o disquisire su filosofie come quella della fortuna, tema ricorrente del film. E poi bum!, un botto, un fulmine a ciel sereno, il crollo dell'Inghilterra benpensante di fronte alle pulsioni più profonde e irrefrenabili del protagonista Jonathan Rhys-Meyers per la seducente Scarlett Johansson. E' anche qui un crollo, una spirale discendente, da cui il protagonista non si riprende più. E' una storia di debolezza, secondo me, dove il nostro protagonista non è impavido, leale e giusto, ma fragile, sottomesso, che non riesce a esercitare alcun potere o anche solo una minima influenza su ciò che gli sta intorno. E' ingenuo e pavido, travolto da eventi che ha contribuito a creare solo di sfuggita, e che eppure lo schiacciano. Un personaggio del genere capace di trasformarsi sotto i nostri occhi in un assassino è veramente sorprendente, poetico ma agghiacciante. Un altro film da aggiungere in cima alla lista dei capolavori di questo "genere", e non solo.

Questi film sono tutti molto diversi, non solo nel genere ma nel tipo di intreccio, il tono, gli incipit e le conclusioni sono tutti molto diversi, e in molti di questi ci sfila sotto gli occhi un messaggio etico differente, sempre molto interessante. E ancora mi chiedo cosa ci affascina di questo delitto perfetto. E' l'illusione di poter fare ogni cosa? E' piuttosto la realizzazione di quanto non è così nel mondo? Ci fa riflettere su cosa vuol dire uccidere? No, non credo. In questi film raramente ci si identifica col morto, direi che è quasi impossibile. Non ci avviciniamo poi così tanto alla Morte, piuttosto abbiamo da riflettere sulla Vita. Su quali particolarità e casualità si fonda l'essere umano. Il delitto perfetto è un motivo scatenante per parlare dell'Uomo, del suo vivere sociale, contestualizzato nelle varie epoche, e delle sue pulsioni. Poichè il desiderio di uccidere ci è vicino quanto pochi altri ne siamo profondamente colpiti e affascinati.

Vorrei aprire un dibattito su questo tema, magari in un futuro me ne occuperò ancora.
Ma per ora vi lascio solo questo articolo e i riferimenti dei film citati.
Sperando che questo tema appassioni altri quanto appassiona me.

A.


Delitto perfetto di Alfred Hitchcock, 1954
Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Petri, 1970
Una cena quasi perfetta di Stacy Title, 1996
Piccoli omicidi tra amici di Danny Boyle, 1994
Delitto perfetto (remake di Alfred Hitchcock) di Andrew Davis, 1998
Formula per un delitto di Barbet Schroeder, 2002
Match Point di Woody Allen, 2005
Chicago di Rob Marshall, 2002

domenica 25 novembre 2012

La più grande tragedia del mondo contemporaneo, nei film e sulla pelle.

Avevo in mente di scrivere molti altri articoli, ma  posticipo alcuni progetti per dedicarmi a un tema che ora sento più vicino che mai, e chissà per quanto mi resterà addosso con questa pesantezza. L'olocausto.
Ho avuto occasione, tra il 18 e il 23 novembre, di intraprendere un viaggio verso Cracovia e i campi di sterminio nelle sue vicinanze, Auschwitz  e Birkenau, che hanno segnato drammaticamente la storia della seconda guerra mondiale, del progetto della soluzione finale, della storia di ebrei e di tedeschi, ma soprattutto la storia del genere umano.

Già solo l'idea di partire mi aveva fatto riflettere molto sul tema, mi chiedevo cosa avrebbe suscitato in me la vista di quei luoghi così pregni di morte e crudeltà, scenari che forse potevo aver visto solo nei film. E ci pensavo, e ci ripensavo, mi chiedevo quanto l'impatto sarebbe stato brutale, addirittura se sarei tornata la stessa persona che ero prima del viaggio. E poi sono arrivata.

Auschwitz

Auschwitz

Birkenau

Birkenau

Birkenau

Birkenau

Birkenau

Birkenau
Il giorno che siamo stati ai campi ci siamo gelati i piedi, ma anche il cuore. Vedi le casupole dove migliaia di persone sono rimaste rinchiuse al freddo, vedi le celle dove i prigionieri politici venivano torturati, le strade sterrate dove i prigionieri a piedi nudi dovevano restare in piedi ore per gli appelli, e anche solo quattro mattoni rimasti in bilico ti fanno tremare quanto scopri che sono i resti di camere a gas. Ogni cosa rievoca terrore.

Mentre mi aggiravo in questi luoghi non potevo fare a meno di pensare a tutto ciò che finora avevo conosciuto paragonato all'incredibile sensazione di spaesamento e di sconforto che provavo.
La scuola ci forma sino dalle elementari a riconoscere l'orrore dell'olocausto, ma non è sufficiente. Siamo piccoli e non ci possono più di tanto impressionare. Poi cresciamo, passiamo alle scuole medie, e lì cominciamo a vedere i film.

Il primo film che vidi su questo tema fu uno sceneggiato italiano su Perlasca.
Perlasca - Un eroe italiano
Ero veramente piccola credo, ne ricordo pochissimi frammenti e non ho più voluto riguardarlo per l'ansia che mi aveva messo. La scena che ricordo più nitidamente è particolarmente cruda: i tedeschi legano a coppie le persone che hanno catturato, e sull'argine di un fiume sparano al capo di una delle due e le gettano, imponendo alla persona rimasta viva l'annegamento. In particolare una di queste coppie sono due fidanzatini che si parlano, cercano di confortarsi ma le loro parole sono asmatiche esalazioni di terrore e panico, che presto hanno fine. Ho scoperto il tema dell'olocausto così. Con la storia di un grandissimo eroe italiano, Giorgio Perlasca, che impegnò la sua vita per salvare tante vite di ebrei che dovevano essere deportati dall'Italia. A lui era intitolato il parco dove mia madre mi portava sempre, quando ero bambina. Quando scoprii la sua storia vi rimasi legata più che mai.

Mi tremano le mani scrivendo questo articolo, ma è meglio che lo scriva ora, che sono da poco tornata dalla Polonia e il mio corpo e la mia mente sono ancora scossi da questa esperienza.

Vorrei parlare di un altro grande eroe della seconda guerra mondiale, tedesco questa volta, proprietario di una importante fabbrica che ho visto appena fuori dal ghetto ebraico di Cracovia. Oskar Schindler.
Schindler's list
Fu uno di quei personaggi incredibili che mentre sorrideva in faccia ai tedeschi escogitava ogni sistema per strappare prigionieri alle loro grinfie, di salvarli da un destino che vedeva compiersi sotto i suoi occhi ogni giorno. La storia di Schindler fa pensare a quanto doveva essere logorante essere circondati da morte e orrore, anche se si era persone rispettabili, ricche, importanti, giovani, eterosessuali e ariane che non correvano alcun rischio. Lui doveva vivere vedendo il male invadere ogni cosa, come un'inarrestabile macchia di petrolio che corrodeva senza tregua ogni sponda del vivere umano. E come potevi vivere così? Penso in questo momento anche al farmacista del ghetto ebraico, Tadeusz Pankiewicz, che decise di proseguire la sua attività all'interno del ghetto ebraico, anche se era ariano. E questa scelta lo fece assistere a tutte le situazioni terrificanti che venivano a crearsi in quel quartiere, la fame, la disperazione dei prigionieri, le malattie, la disoccupazione, fino alla deportazione e alle fucilazioni, proprio di fronte al suo negozio. Quando penso al ghetto, al concetto del ghetto nella seconda guerra mondiale due cose mi vengono in mente. Una di queste è il tragico film Il pianista. L'altra è la ben più recente esperienza di ghettizzazione perdurata fino al 1989 in Germania: il muro di Berlino.

Il ghetto, come descritto ne Il pianista, è controllo, e svilimento dell'uomo che si sente intrappolato. Gli ebrei venivano confinati in determinate zone delle città, resi riconoscibili dalle fasce con la stella di David, oppure dovevano appuntarsela sul petto. Era già una prima forma di annullamento, tu non venivi più riconosciuto in quanto persona, ma in quanto appartenente a una "razza". Eri uno su mille.

Il pianista

E come tutti gli altri non valevi nulla, secondo questa logica settaria, aprioristica e delittuosa. Eri una malattia, e come tale venivi catalogato, numerato, eliminato. Mi fa diventare matta pensare come una tale mentalità abbia fatto presa così bene, su così tante menti di uomini e donne liberi. Mi fa diventare matta pensare alle persone normali che passavano per strada e sentivano urla, e  percepivano odori, di gente rinchiusa, sporca, o di gente morta. Sull'odore si basa un altro film che ho visto di recente, La chiave di Sara. Racconta la reclusione degli ebrei parigini per due giorni nel Vélodrome d'Hiver, uno stadio. All'esterno la popolazione li percepiva, tutti quegli uomini rinchiusi ma non faceva nulla. Tutto il film parla di questa esperienza dal punto di vista di una bambina di 10 anni, spaventata a morte dagli eventi che la stanno circondando. Al punto di voler chiudere il fratellini in un'armadio a scomparsa per impedire che venga catturato. La bambina viene presa, reclusa, deportata in campo di sterminio, riesce a scappare, dopo numerosi travagli riesce a tornare a casa ma è tardi. Ancora, un odore insopportabile l'avvisa della morte del fratellino.
La chiave di Sara






Il bambino con il pigiama a righe
In tutti i film sull'olocausto che ho visto sembra che l'amore sia la chiave che ti permette di vivere o di morire. L'amore per la tua famiglia, per il tuo compagno o compagna, per i tuoi bambini. In realtà  la storia ci mostra come la chiave per sopravvivere o morire fosse più semplicemente il caso, il destino. Sebbene le operazioni per la cattura e lo sterminio vengano ricordate per la loro freddezza e sistematicità non è vero che queste le dominavano completamente. Non c'erano veri criteri, le eccezioni erano molte e varie, c'erano tante possibilità di sfuggire quante di morire, e tutto era dato dalla più estrema casualità. Magari il medico nazista ti definiva sano quando non lo eri, oppure un soldato poteva avere pietà di te, o un ricco imprenditore alla Schindler poteva escogitare qualche operazione di salvataggio proprio nel campo in cui eri rinchiuso, o chissà che altro. In un clima di totale confusione, in cui tutti, su tutti i fronti, erano esausti e sconfortati, in un'operazione di queste dimensioni ogni strada poteva aprirsi sulla libertà o chiudersi in un vicolo cieco.
Questa credo sia stata la cosa peggiore del vivere in quegli anni.

Vivere l'esperienza della visita ai campi di Auschwitz e Birkenau è andata oltre tutto ciò che avevo visto nei film. Mi ha fatto pensare a quanto quest'arte, in cui credo moltissimo, non sia sufficiente, forse, a proiettarci in tutti i mondi e in tutti i tempi. Può darci solo alcuni brevi stimoli, che suscitino il nostro interesse, che ci spingano verso certi tempi, ma non di più. Almeno su questo tema. Ripenso a ciò che i film mi hanno insegnato su questo e mi rendo conto delle loro inesattezze, quasi fossero solo goffi tentativi di trasmettere appieno quell'atmosfera. Coraggiosi, ma goffi.
Il pianista
E al tempo stesso penso alle poesie di Primo Levi, alle testimonianze dei sopravvissuti, ai testi che hanno scritto, alle canzoni, alle commemorazioni, e mi rendo conto che anche tutte queste manifestazioni sono insufficienti. E la mia mente allora, concependo questa incapacità di rappresentare per intero la tragedia, ci si avvicina di più?
Concorrenza sleale
La vita è bella

Me lo sono chiesta tanto mentre ero lì, tra quelle casette, quegli edifici distrutti, passando tra i boschi in cui erano stati bruciati all'aria i cadaveri dei prigionieri: riesco davvero a capire tutto questo? Capirò mai appieno un dolore del genere, potrò mai rendermene conto? E mi sentivo in colpa pensando "Sto cercando di provare lo stesso dolore di quelle povere, sfortunate persone. E questo mi rende solo superba".

Mi rendo conto di quanto sconnesso e forse difficile da seguire sia questo mio articolo, ma scrivo ciò che penso come viene perchè non ho in mente consequenzialità logiche ma emozioni e dubbi che mi si affollano in testa. Questo viaggio lo consiglierò ad ogni persona che avrò davanti, a tutti i miei amici e i miei parenti, ai miei insegnanti e ai miei colleghi, finchè un giorno non ci andranno i miei figli. Perchè solo ora mi sento davvero parte di quel ricordo, mi sento parte integrante della storia. Non bastano nozioni, libri e film per renderti consapevole di come va il mondo, costruire la propria memoria e la propria vita necessita di entrare fin sotto la pelle degli eventi che ci hanno segnato, avvicinarsi il più possibile al fuoco e lasciarsi bruciare, per portare sempre in noi la cicatrice    
dell'esperienza.

Dedico questo articolo a Zofia Talma, 
morta ad Auschwitz ad appena 20 anni.
La mia età.



martedì 13 novembre 2012

Stardust, un fantasy diverso

Devo ammettere di aver visto questo film per caso, non ricordo neanche quando, ma sicuramente non avevo più l'età per la fascinazione da fantasy. Eppure questo film mi è rimasto nel cuore, e ogni volta che lo vedo mi lascia soddisfatta. Che stranezza.
Com'è che riesco a farmi ammaliare da Stardust come da nessun'altro film fantasy degli ultimi tempi (La Bussola d'oro, Un ponte per Terabithia, Le Cronache di Narnia, Eragon, ecc)?

Intanto c'è da premettere che il regista di Stardust, Matthew Vaughn, è anche il regista di The Pusher, Kick Ass e X-Men First Class, tutti e 3 film che ho apprezzato tantissimo. Quindi sicuramente io ne sono colpita per lo stile della sua regia in generale, un punto sul quale non posso più di tanto discutere perchè è questione di gusti personali.

Il film parla del giovane Tristan che decide di andare a recuperare una stella caduta per donarla alla sua amata, oltrepassando un muro magico che divide il suo villaggio da un universo parallelo. Solo che una volta trovata la stella scopre che essa non è una roccia incandescente come si aspettava, bensì una giovane fanciulla di nome Ivaine. I due intraprendono il viaggio per tornare nel mondo reale, ma sulle tracce della stella ci sono la perfida strega Lamia e l'avido principe Septimus, entrambi alla ricerca della vita eterna.

La trama è in realtà molto complessa, e quindi non cede il passo alle stilizzazioni tipiche dei fantasy. Noi per tutto il film seguiamo sia Tristan, che Septimus e Lamia, senza sorvolare alcuna delle loro avventure per raggiungere i loro scopi. Viaggiamo tra villaggi, corti, antri, stupendi paesaggi incontaminati e anche per i cieli, in un rincorrersi dei personaggi che non annoia neanche per un secondo. E' questa una delle cose che più mi impressionano di questo film, non mi annoia mai, neanche quando lo riguardo per la quinta volta.

Un altro elemento molto atipico rispetto ai normali fantasy è che in Stardust i personaggi non sono per nulla stereotipati, eccetto forse il protagonista, che è la perfetta maschera del giovane ingenuo e incapace che però con buona volontà riesce a diventare uomo e ad acquistare fiducia in se stesso.
Per il resto i personaggi sono davvero "fuori contorno", diciamo: la sentinella novantenne che pratica arti marziali, la ragazza amata dal protagonista che invece di essere umile e virtuosa è un'insopportabile approfittatrice, il capitano pirata omosessuale, il re che incita i suoi figli a uccidersi per il trono.
Tutti questi elementi (ovviamente frutto dello scrittore del libro, più che del regista) hanno contribuito a creare un contesto non convenzionale.

Parlando di scelte prettamente registiche ribadisco il ritmo delle scene che si susseguono, che è perfetto per non far annoiare lo spettatore e al tempo stesso fargli gustare i singoli episodi. E poi un altro elemento che esce completamente dalla logica fantasy: la violenza. In questo film si susseguono sventramenti di poveri animali, omicidi tra fratelli osservati quasi nella totale indifferenza, uno sgozzamento, una decapitazione, accoltellamenti, addirittura una bambola voodoo che spezza le ossa dell'ultimo principe rimasto e lo porta alla morte per affogamento. Nel finale due streghe vengono uccise, una trafitta brutalmente da una sciabola e l'altra mangiata viva dai lupi.
Sarà mica un film per bambini?

Personalmente l'ho amato anche per questo, l'impronta filo-tarantiniana che percorre i film di Vaughn, fino all'apice di Kick Ass (altro film che per me è stato un colpo di fulmine).

Trarre le conclusioni su questo film non è facile. Mi sembra di aver detto troppo poco per definirlo, eppure non saprei cos'altro aggiungere per farvi provare attrazione verso di esso.




Se amate i film fantasy sicuramente non potete perdervelo, e se non li amate almeno sapete che è diverso da tutti gli altri.









giovedì 20 settembre 2012

Prometheus come Alien (?)

Grande attesa per "Prometheus", lo aspettavo da mesi. Regia di Ridley Scott, nuove interpretazioni di Noomi Rapace e Michael Fassbender, e un trailer accattivante che suggerisce una nuova visione del film fantascientifico, che va ad indagare i misteri delle origini dell'uomo. Come non essere elettrizzati?
Ottime premesse, che la visione non ha completamente smentito. Ingegnoso, intrigante, diretto con maestria.
Maestria è il termine esatto, perchè anche non conoscendo il nome dell'autore si intuirebbe che il regista è Ridley Scott, e che un forte contributo per il soggetto è stato portato da Dan O'Bannon, già sceneggiatore di Alien, appunto.
Per quanto interessante e appassionante sia questo film i collegamenti con Alien non riescono a essere sottili. Sarà che io Alien l'ho scoperto da poco, che l'ho visto solo qualche mese fa e quindi mi è ancora molto vivido in mente, ma uscita dalla sala in mente avevo solo (o principalmente) immagini di Alien che mi si affollavano in mente sovrapponendosi o legandosi alle scene appena viste.
Non è un mistero che questo film sia legato ad Alien in quanto a storia (Ridley Scott stesso affermò tempo addietro che questo film ne è un prequel), ma è stata una sorpresa trovarsi a scoprirne dei veri e propri "ricalchi", delle somiglianze davvero imponenti.
Premetto che forse questo è solo un mio viaggio mentale, ma mi ha così appassionata che non posso fare a meno di scriverlo, almeno per me.

Cominciamo con lei, Noomi Rapace, un'attrice così particolare di fisionomia e di corporatura, al punto da ricordare molto l'atipica bellezza di Sigourney Weaver.


Due visi veramente particolari, vorrei scoprire se chi ha operato il casting di Alien si sia occupato anche di Prometheus, o se è una scelta personale di Scott.

Come in Alien, il criocongelamento è in gran voga anche in Prometheus e ne ha la stessa valenza, è ciò che significa "casa".

Gli interni dell'astronave Prometheus sono molto simili a quelli della Nostromo: i corridoi foderati di bianco, le porte scorrevoli con l'incastro squadrato, la sala da pranzo che ci fa provare attimi di terrore rievocati da Alien.

Una volta scesi da Prometheus, gli esploratori in cerca di una antica forma di vita aliena entrano in una sorta di piramide, nella quale trovano una enorme sala completamente invasa da tozzi otri, disposti a regolare distanza gli uni dagli altri. Esattamente come le uova degli Alien.

Uno dei momenti di maggiore suspance di Alien è quando il capitano Dallas entra nelle condutture d'aria per braccare l'alien e viene seguito dai suoi compagni da un radar. L'apice del terrore è quando sullo schermo compare una forma di vita che comincia ad avvicinarsi all'eroe. Anche in Prometheus il vero terrore arriva grazie a un segnale sui radar della nave, che registrano una forma di vita che compare e scompare alla fine di un tunnel. Due uomini dell'equipaggio, che sono a poca distanza da lì, in questo punto del film iniziamo ad avere davvero timore. E a ragione.

Un altro segno del regista e in generale di chi ha collaborato a creare il mondo di Alien è nella prima apparizione di una forma di vita aliena che abbiamo in Prometheus: due esploratori si trovano davanti una specie di biscia, che a prima vista appare inoffensiva (soprattutto perchè questi due continuano a riderci sopra, avvicinandosi incautamente). A un certo punto la "testa" della biscia si "apre", diciamo più che si "svolge", e cosa troviamo? Una inconfondibile apertura a forma di vagina assolutamente uguale a quella degli alien (quando ancora sono in fase fetale).

Anche in questo film riviviamo il momento (che è solo un momento) del panico del contagiato e della quarantena. Sia in Alien che in Prometheus abbiamo un membro dell'equipaggio che evidentemente rischia di contagiare gli altri e di creare un disastro, solo che mentre nel primo abbiamo un dibattito e un salvataggio del contagiato, nel secondo invece abbiamo la sua immediata eliminazione. Anche su questo punto ci sarebbe da riflettere: se in Alien la soluzione di far rientrare il contagiato e provare a curarlo da una svolta al film e da il via al problema intorno al quale ruota, possiamo dire lo stesso in Prometheus?

Sulla stessa linea d'onda possiamo collocare la riflessione sulla presenza di intelligenze artificiali in questi film. In Alien scopriamo della presenza di un robot dopo la metà del film, è un personaggio malvagio, programmato per uno scopo diverso da quello della spedizione e che fa una brutta fine. In Prometheus invece il robot è uno dei personaggi che abbiamo più vicini, ci viene dichiarato immediatamente ed è quasi più fondamentale degli umani che ha intorno. Ma anche lui è, in fin dei conti, una presenza disturbante, asservita ad altri scopi che sorpassano l'obbiettivo della missione. Quando ho assistito allo smembramento di Fassbender mi è venuto da ridere. Mi sono chiesta come mai Scott avesse realizzato quel robot esattamente come quello di Alien di 33 anni prima.


















Un altro simpatico dettaglio: in entrambi i film c'è un cazzuto uomo di colore che salva la situazione.

In entrambi i film Scott mostra la sua bravura nel gestire la conclusione del film. In entrambi c'è un ultimissimo colpo di scena, insolito, inaspettato. E in entrambi i film questa scena si svolge nella capsula di salvataggio, in entrambe l'eroina si sta finalmente adagiando dopo tutto ciò che ha passato e viene nuovamente sbalzata nell'incubo, in entrambi i film armata innanzitutto di un corpo tagliente. Caso? Che ci abbia pensato o no, Scott ci propone due ultime scene che si specchiano l'una nell'altra, con gli stessi tempi, la stessa tensione, la stessa ambientazione e la stessa risoluzione.



Per poi concludere con una battuta perfettamente identica. "Qui è Prometheus, tutto l'equipaggio è morto, io sono Elizabeth Shaw e sono l'unica superstite del Prometheus". Ascoltate le ultime battute di Alien e di Prometheus, pare di sentire lo stesso film.
Anche questo, è un caso?



Qui si pone la domanda fondamentale. E' stato voluto? Questa somiglianza fin troppo palese era calcolata? C'è un climax di similarità in effetti, ma è andata così? O semplicemente il regista non è riuscito a cambiare le cose, è rimasto legato a quelle caratteristiche che avevano reso grande il suo Alien?





P.s. Questo poster è molto carino
















venerdì 7 settembre 2012

Dopo essere entrati in un capolavoro

Avete avuto occasione di guardare "Eyes Wide Shut" di Stanley Kubrick?
Se si proseguite con questo post, se invece la risposta è no chiudete tutto e scendete un paio di post più in giù, dove troverete solo un'introduzione alla visione del film.

Ora siamo pronti per entrare nel vivo.


Questa è la prima immagine che avete visto del film. Kubrick dichiara senza mezzi termini il controverso tema del film, incarnato da una sensualissima Kidman che si spoglia davanti a noi, nella più completa calma e serenità del suo appartamento. Niente censura ne cesura. Questo film (1999) colpisce con le sue immagini disorientanti e cariche, ci impone un costante approccio con il sesso e con i suoi stimoli ma al tempo stesso non ce ne lascia godere. 

Come abbiamo detto anche nel post precedente la storia nasce quando la moglie Alice rivela a suo marito Bill di aver desiderato di tradirlo tempo prima con un uomo visto solo di sfuggita durante una vacanza. La scoperta fa precipitare Bill in un baratro di dubbi e frustrazioni che lo inducono a ricercare un piacere che si avvicini a quello testimoniato dalla moglie. Non è facile dire se questa ricerca sia reale o una distorsione della realtà nella mente del protagonista, ma non ha importanza: ciò che lui trova è vivido, reale e ci appassiona come appassiona lui.

Un dettaglio ci aiuta a vivere le due esperienze, di Alice e di Bill: Alice ci racconta un suo sogno, neanche un suo ricordo, e la vediamo sospirare ripensandoci, cogliamo il suo coinvolgimento in come parla e respira. Le scene in cui vediamo le fantasie di Alice sono flash in bianco e nero frutto solo dell'immaginazione di Bill, e questo è quanto. Quando invece entriamo nell'universo delle fantasie di Bill tutto diventa come un luna park di luci, di immagini vivide e di inviti ai quali non si può dire di no.

La prima tentazione di Bill è la figlia di un suo vecchio paziente morto. Ha appena parlato con sua moglie e scoperto il suo segreto, e si trova d'improvviso catapultato in una situazione analoga, vive quello stesso episodio dall'interno: questa ragazza è innamorata di lui, dal primo sguardo, e lui si ritrova a essere oggetto di quel desiderio manifestato dalla moglie poco prima. E' come sottolineare la sua inadeguatezza ancora una volta, il regista torna a rimarcare il fatto che Bill non è all'altezza.

Sconvolto Bill vaga per la città, in subbuglio, finchè non incontra una prostituta che lo invita a entrare in casa sua. Bill sulle prime cerca di dire di no, ma infine accetta, succube della volontà di lei. Una volta in casa i due si scambiano brevi frasi, più timide che distaccate, e lo stesso può valere per quel po' di rapporto che iniziano. Fanno tempo a scambiarsi un bacio (pare di vedere la scena madre di un filmetto per adolescenti) e a Bill suona il telefono. All'altro capo c'è Alice. Affiorano i sensi di colpa (o così sembrerebbe) e decide di andarsene. 

Ma non torna a casa. Prosegue nella sua camminata solitaria, fino a che non si trova davanti a un locale dove suona un suo vecchio amico del college (questo personaggio lo avevamo incontrato anche all'inizio del film, ma volutamente non l'ho menzionato). Facendola breve, questo vecchio amico gli rivela l'indirizzo e la parola d'ordine per entrare a una "festa" privata in una grande villa e Bill senza esitare decide di andarci. La festa si rivela una specie di celebrazione di una qualche setta, dove giovani e belle donne vengono mandate in giro per la casa per animare numerose orge, che noi vediamo attraverso gli occhi di Bill. Il nostro eroe vaga per questa casa sontuosamente arredata con passo lento, e in ogni sala assiste a questi atti rappresentati con una freddezza disarmante. Le scene sono rappresentate per intero, senza censura su genitali o altre zone del corpo, ma la loro valenza erotica sfuma in un senso di vissuto e di ripetitivo, non ha niente di attraente o di sano. 

Altro episodio interessante è quello appena precedente a questo, quando Bill va nel negozio di maschere (effetto luna park on) e il proprietario scopre la propria figlia nascosta in una stanzetta con due uomini. La scena ci viene presentata come oscena: due signori non molto giovani, semi nudi, con in testa parrucche da donna e truccati, insieme a questa ragazzina di non più di 16 anni, aggrediti dal padre di lei. La ragazza scappa alle grinfie del padre e si rifugia dietro a Bill. Lì il suo volto cambia: il suo sguardo spaventato si tramuta in un'occhiata seduttrice che attira lo sguardo del protagonista, che ormai sovraeccitato si lascia coinvolgere.

Non è finita qui. Dal picco a cui Bill era arrivato dentro la villa, nel momento massimo in cui tutti noi pensavamo sarebbe arrivato al tradimento pur di provare lo stesso piacere della moglie, ci siamo immedesimati, vogliamo la sua riuscita, lì comincia il declino. Bill viene scoperto come un non invitato alla festa e cacciato, non senza perdite. Da lì è una spirale senza uscita: perde la maschera con cui si era presentato alla festa, scopre che la donna che l'ha salvato in quella occasione è stata assassinata, chiama la figlia del suo pazienta, ma non ha il coraggio di parlarle, va dalla prostituta e scopre che era affetta da HIV, tutto intorno a lui sembra stringersi. La sua sete di soddisfazione (e insieme di fuga dal tedio della vita quotidiana) lo sta portando in un mondo che non avrebbe voluto conoscere.

Ha fatto l'errore che sua moglie al tempo non fece: lei si prese la sua sbandata, ebbe i suoi sogni segreti ma non rischiò mai nulla della sua vita per inseguirli, poichè ne comprendeva la natura e si accontentava del solo pensiero. Bill invece non ha saputo come trattenersi. E ha messo in gioco tutto, come vedremo nel finale del film.

Vediamo come l'uomo si sia lasciato sedurre da tutte le attrattive intorno a lui per giungere al suo soddisfacimento, prostitute, orge, maschere, pedofilia, flirt, c'è persino un accenno omosessuale (il tipo della reception dell'albergo), senza guardare in faccia a nessuno. La donna invece ha preso un dettaglio, uno sguardo lanciatole da un bell'uomo in un pomeriggio qualsiasi, per trovare una fonte inesauribile di appagamento solo nella sua mente.


C'è una logica? C'è una morale?
Non penso che Kubrick voglia dare un giudizio di questo tipo, penso piuttosto che abbia trovato il modo per mostrare due universi, quello maschile e quello femminile, con la massima sapienza, estremizzandone i caratteri per fornirci una adeguata spiegazione. Certo, il dibattito non è chiuso, ma questo film arriva al punto della questione in maniera chiara e concreta.
Lasciandoci a bocca aperta.

A.




giovedì 6 settembre 2012

Il Miglio Verde

Un film che abbiamo visto e rivisto. Un film di cui abbiamo sentito parlare e che per i miei coetanei spesso rimanda al passato, a una sera d'autunno coi genitori mentre eravamo troppo piccoli o a una proiezione in classe. Un film poetico, fiabesco, le cui radici affondano profondamente nel vivere di ogni uomo.

Passando dalle premesse appassionate che mi sono sorte rivedendo questo film dopo molti anni (in occasione della morte dell'attore Michael Clarke Duncan) agli aspetti che più oggettivamente rendono questo film un grande film, devo cominciare con la definizione lineare dei personaggi, un elemento molto fiabesco che aiuta la separazione tra buoni e cattivi. Paul è un buono, Brutal è un buono, John Coffey, che per 2/3 del film viene ritenuto un criminale della peggior specie, è un buono, e non serve arrivare a film inoltrato per capirlo. Lui è buono in volto, è buono subito, dal primo sguardo. Così come Wild Bill è malvagio, e peggio di lui è Percy. Sfido chiunque a non aver desiderato di strozzarlo dopo poche scene. Questo film, pur trattando temi profondi e adulti, pur essendo ambientato in un braccio della morte, si avvale delle tecniche base dell'immedesimazione dello spettatore come se si stesse rapportando a un fanciullo.


Un altro carattere molto "infantile" diciamo, tratto dal classico per ragazzi, è l'idea del miracolo materializzato in una luce e in uno sciame di moscerini neri, una materializzazione da favola o da film fantasy. Inoltre solo una volta questo miracolo avviene su un male tangibile (il topo schiacciato), gli altri 2 miracoli del film avvengono curando mali per noi umani invisibili, non individuabili, e quindi non controllabili. Questa immagine ci permette di fare un salto avanti e trovare il male davanti a noi.


Il braccio della morte non è un luogo dove ambientare una storia. Un luogo limitato, chiuso, nel quale non può nascere ne evolvere niente poichè chi ci entra lo fa per morire, un posto dove le relazioni umane dovrebbero non esistere. E invece la storia c'è. E non solo grazie alla presenza del mastodontico Coffey. Ci sono persone che dialogano, che litigano, che provano tensioni, ma non solo: sono persone amiche. I detenuti sono umani quanto i loro carcerieri, sono perfino più buoni e umani di loro. Il film riesce a rendere vivo un luogo di sola disperazione, anche il titolo ci rimanda a questo concetto: un braccio della morte lungo un miglio, però verde, come le piante, come la speranza.


La storia di Paul per noi comincia quando è un vecchio in una casa di riposo, ma il suo coinvolgente racconto del 1935 ci fa dimenticare il suo viso rugoso fino alla scena in cui John Coffey vede, la notte prima di morire, un film dove Fred Astaire e Ginger Rogers ballano, e lì, con un tocco da maestro, torniamo da dove eravamo partiti, dopo il lunghissimo limbo nel miglio verde. Quella sospensione temporale si conclude, è come un sogno che finisce, e ciò che resta è un uomo che invecchia senza morire. E' una conclusione tragica e carica di paura.
Un finale non da bambini insomma.


Il film non permette mezze misure. Noi ci innamoriamo di John Coffey, così come odiamo Percy, e così come siamo atterriti dalla storia di Paul. Atterriti all'idea della morte, presente tutto il tempo, ma al tempo stesso arricchiti all'idea che qualcosa possa fermare il male nel mondo. Magari questo qualcosa non sarà un uomo nero di 2 metri e non sputerà il dolore sotto forma di moscerini, ma quel qualcosa, da qualche parte c'è.

A.

Entrare in un capolavoro

Questo è il mio primo post in un blog serio. Ne ho tenuto uno solo a 13 anni ed era poco interessante. 

Un primo post è sempre un primo passo in un nuovo mondo e io il mio voglio compierlo sulle note del Valzer n°2 di Shostakovich che apre lo stupendo (ed ultimo) capolavoro di Stanley Kubrick, "Eyes Wide Shut".
Come avrete notato la prima parola di questo stupendo titolo, Eyes, è anche il nome che ho dato a questo blog, poichè gli occhi ci permettono di comprendere la magia del cinema e lo spettacolo teatrale a cui assistiamo ogni giorno.

E' la vista il senso che domina Eyes Wide Shut, con la sua percezione immediata di ciò che ci accade intorno ma anche con gli inganni che può costruire. Nel film abbiamo un rigido Tom Cruise, medico affermato e ricco, ma anche tremendamente insicuro, con la sua splendida moglie, Nicole Kidman, che in una stupenda scena iniziale ambientata durante un sontuoso ballo dell'alta società ci mostrano quanto la loro fedele unione sia in realtà fallace, in balia dei sensi dei due protagonisti. 
Ci vengono mostrate le fantasie maschili e femminili, incarnate da una coppia di accattivanti modelle e da un ricco ungherese dai modi galanti. Già dalla prima scena entriamo nel vivo della questione che Kubrick vuole affrontare: cosa rende gli uomini e le donne diversi dal punto di vista più basso e primordiale? e cosa invece lì accomuna e li tiene uniti? 

L'opinione del regista è chiara già alcune scene dopo: la moglie Alice rivela al marito di aver desiderato di tradirlo, tempo prima, con un giovane ufficiale di marina veduto solo di sfuggita, ma che l'aveva al punto colpita ed eccitata da divenire il protagonista dei sogni più selvaggi della donna. La carica passionale e di coinvolgimento emotivo della donna sovrasta quella dell'uomo, sia perchè può essere scatenata da elementi molto più semplici e innocui sia perchè si amplifica col passare del tempo crescendo come un rampicante e avvelenandole la ragione. Bill è sopraffatto dal racconto della moglie, non tanto all'idea del tradimento, ma all'idea che la moglie possa provare un desiderio così sconfinato, tale da non poter essere soddisfatto.

Qui comincia il viaggio di Bill, alla ricerca di un piacere ugualmente forte e con esso la possibilità di soddisfare la moglie. 
Si, detta così sembra molto semplice. In realtà questo aspetto basso e istintivo offre un'enorme quantità di spunti e riflessioni sul rapporto uomo-donna e sulla sessualità in generale, motivo per cui leggere fino a qui non è servito molto, ve lo dico. E neanche leggere oltre questa riga forse vi farà entrare nella pelle del film. L'unica soluzione è cercarlo e guardarlo, assaporando le piccole geniali sfumature che Kubrick ci offre ad ogni nuovo sguardo su questo film.

Che cosa affronta Bill in questo film? La tentazione? La paura? Mette alla prova i suoi limiti? 
Guardate questo film e lo scopriremo nel prossimo post.

A.