giovedì 6 settembre 2012

Il Miglio Verde

Un film che abbiamo visto e rivisto. Un film di cui abbiamo sentito parlare e che per i miei coetanei spesso rimanda al passato, a una sera d'autunno coi genitori mentre eravamo troppo piccoli o a una proiezione in classe. Un film poetico, fiabesco, le cui radici affondano profondamente nel vivere di ogni uomo.

Passando dalle premesse appassionate che mi sono sorte rivedendo questo film dopo molti anni (in occasione della morte dell'attore Michael Clarke Duncan) agli aspetti che più oggettivamente rendono questo film un grande film, devo cominciare con la definizione lineare dei personaggi, un elemento molto fiabesco che aiuta la separazione tra buoni e cattivi. Paul è un buono, Brutal è un buono, John Coffey, che per 2/3 del film viene ritenuto un criminale della peggior specie, è un buono, e non serve arrivare a film inoltrato per capirlo. Lui è buono in volto, è buono subito, dal primo sguardo. Così come Wild Bill è malvagio, e peggio di lui è Percy. Sfido chiunque a non aver desiderato di strozzarlo dopo poche scene. Questo film, pur trattando temi profondi e adulti, pur essendo ambientato in un braccio della morte, si avvale delle tecniche base dell'immedesimazione dello spettatore come se si stesse rapportando a un fanciullo.


Un altro carattere molto "infantile" diciamo, tratto dal classico per ragazzi, è l'idea del miracolo materializzato in una luce e in uno sciame di moscerini neri, una materializzazione da favola o da film fantasy. Inoltre solo una volta questo miracolo avviene su un male tangibile (il topo schiacciato), gli altri 2 miracoli del film avvengono curando mali per noi umani invisibili, non individuabili, e quindi non controllabili. Questa immagine ci permette di fare un salto avanti e trovare il male davanti a noi.


Il braccio della morte non è un luogo dove ambientare una storia. Un luogo limitato, chiuso, nel quale non può nascere ne evolvere niente poichè chi ci entra lo fa per morire, un posto dove le relazioni umane dovrebbero non esistere. E invece la storia c'è. E non solo grazie alla presenza del mastodontico Coffey. Ci sono persone che dialogano, che litigano, che provano tensioni, ma non solo: sono persone amiche. I detenuti sono umani quanto i loro carcerieri, sono perfino più buoni e umani di loro. Il film riesce a rendere vivo un luogo di sola disperazione, anche il titolo ci rimanda a questo concetto: un braccio della morte lungo un miglio, però verde, come le piante, come la speranza.


La storia di Paul per noi comincia quando è un vecchio in una casa di riposo, ma il suo coinvolgente racconto del 1935 ci fa dimenticare il suo viso rugoso fino alla scena in cui John Coffey vede, la notte prima di morire, un film dove Fred Astaire e Ginger Rogers ballano, e lì, con un tocco da maestro, torniamo da dove eravamo partiti, dopo il lunghissimo limbo nel miglio verde. Quella sospensione temporale si conclude, è come un sogno che finisce, e ciò che resta è un uomo che invecchia senza morire. E' una conclusione tragica e carica di paura.
Un finale non da bambini insomma.


Il film non permette mezze misure. Noi ci innamoriamo di John Coffey, così come odiamo Percy, e così come siamo atterriti dalla storia di Paul. Atterriti all'idea della morte, presente tutto il tempo, ma al tempo stesso arricchiti all'idea che qualcosa possa fermare il male nel mondo. Magari questo qualcosa non sarà un uomo nero di 2 metri e non sputerà il dolore sotto forma di moscerini, ma quel qualcosa, da qualche parte c'è.

A.

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